Alice nel paese della TAV, e altre meraviglie

Siamo nell’era in cui i terroristi lanciano i sassi,
mentre i pacifisti sganciano le bombe.

Sui giornali di regime, da Repubblica a Libero passando per il Corriere, c’è un gran parlare di “violenza” e di “pericolo terrorismo” legato alle proteste della val di Susa. Non è un fenomeno isolato. Ad ogni protesta ormai il minimo atto di resistenza è stigmatizzato come irrazionale, inacettabile e terroristico. L’eterno ritorno dello stesso. Lo si è visto in occasione delle proteste studentesche che sono scoppiate un pò in tutta Europa nell’inverno e nella primavera di quest’anno, nei giorni della contestazione ai sindacati Cisl e Uil, e praticamente a ogni manifestazione contro le politiche neoliberali assassine dell’IMF e del WTO.

I nuovi mostri sono i “black block”, essenza spettrale quanto “il terrorismo”, etichetta che viene magicamente posta a suggello di una politica che criminalizza il più minimo atto di dissenso. La realtà è che i black block non esistono. Black block non è altro che una strategia volta alla distruzione della proprietà privata dei super-ricchi che a preso piede negli ultimi anni, non è nè un’organizzazione clandestina, nè un gruppo dissidente, nè un network terroristico internazionale. Black block in altre parole è una pratica diffusa come lo sciopero o il picchettaggio non un soggetto spettrale e nomade che si aggirerebbe per l’Europa “infiltrando manifestazioni pacifiche di cittadini”. La retorica di Beppe Grillo è soci, la loro fantasia da poliziesco di quarta categoria, è tristemente patetica con il loro tentativo di demonizzare un mostro che non esiste con il solo scopo di imporre la disciplina sulle proteste che si succedono rapidamente per tutta Europa. Ciò che si vuole esorcizzare è la possibilità che la gente creda veramente di poter resistere a ciò che gli viene imposto dall’alto, e non si rassegni all’impotenza di proteste puramente simboliche e destinate alla totale irrilevanza.

Il modello di protesta che è nei sogni dei potenti è quello esaltato nei giorni delle manifestazioni contro la guerra degli ultimi anni: un gregge di pecore che può essere accarezzato e esaltato a parole, per poi essere totalmente ignorato mentre i treni continuano ad approvvigionare le basi militari da cui partono aerei da cui, proprio quelli che dai giornali aborrono la violenza “sempre ingiustificabile”, sganciano bombe, squartano madri, storpiano bambini. Ma loro sono pacifisti, mentre chi lancia un sasso, chi spacca la vetrina di una banca – proprio quelle banche che ormai possiedono il mondo, comprese le fabbriche di armi da cui escono bombe per uccidere, le compagnie militari private poste a guardia del bottino di guerra, le enormi corporations per i cui interessi le guerre si succedono una dopo l’altra – è un violento e un terrorista. Siamo nell’era della mistificazione più totale: i deboli devono chinare la testa, essere pii e non-violenti così che i potenti possano continuare a devastare il mondo in pace e serenità.

Ma non sarete mica dalla parte dei violenti? Dei black block? Di chi spacca le vetrine e tira i sassi contro le camionette? Inversione dialettica della violenza nel capitale: siccome le persone sono oggetti e gli oggetti soggetti, bombardare uomini, donne e bambini è un atto di pace mentre rompere una merce inanimata è violenza. Non per niente ci ripetono che la vita “bisogna guadagnarsela”, mentre la proprietà è sacra e va difesa sempre e comunque. In realtà non vedo nulla di violento nello spaccare una vetrina. Non si ha violenza contro le cose ma contro le persone, contro la vita. Quando un poliziotto picchia a sangue un ragazzino che si è permesso di insultare la “proprietà privata”, che ha rotto una vetrina, spaccato una barricata della polizia, rubato un oggetto, egli rivela l’inversione mostruosa dei valori nella nostra società. Gli oggetti valgono più delle persone; l’inanimato, il morto domina e soggioga la vita. Ormai accettiamo per scontato che una guardia che uccide a freddo un ladro che a messo le mani su quella che rimane nient’altro che carta(moneta) sia al servizio del bene e si comporti addirittura da eroe, mentre in realtà serve la morte contro la vita, l’oggetto contro l’uomo. Le parole sono delle puttane e “violenza” non fa eccezione. Dice Humpty Dumpty ad Alice:

“Ecco la tua violenza!”
“Non so che cosa voi intendiate con ‘violenza’”, disse Alice.
Humpty Dumpty fece un sorriso sprezzante. “E’ naturale che tu non lo sappia… finchè non te lo dico io. Volevo dire ‘eccoti un’argomentazione insuperabile”.
“Ma ‘violenza’ non significa affatto ‘argomentazione insuperabile’”, obiettò Alice.
“Quando io uso una parola” disse Humpty Dumpty con tono sdegnato “questa significa esattamente ciò che io voglio che significhi, né più né meno”.
“La questione è” disse Alice “se voi
potete dare alle parole tutti i significati che volete”.
“La questione è” disse Humpty Dumpty “
chi è che comanda, ecco tutto”.

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4 risposte a Alice nel paese della TAV, e altre meraviglie

  1. milus dee scrive:

    Ciao, complimenti per tutto quello che scrivi. Ti appoggio in toto.

    ..ti scrivo anche per chiederti conferma di un’informazione che ho letto in uno dei tuoi articoli, quella riguardante hitler e le sue 8 pere di meth al giorno. Vorrei sapere se è attendibile. Grazie, un saluto

    Ciao 🙂

  2. Amedeo scrive:

    Sono d’accordo. Da non-violento però vorrei difendere le pietre. Le pietre come tutte le cose non sono di per sè violente, lo diventano se le lancio in testa a un’altra povera creatura. Però non credo nemmeno Gandhi avrebbe avuto nessun problema con spezzare il pane o rompere un bastone, o un vetro, o una vetrina, o una barricata in ferro. Non vedo dove sia la violenza. Proprio perchè rifiutiamo la violenza dobbiamo essere inflessibili sul mantenere chiaro il significato della parola. Violenza è provocare dolore.

  3. Nibbo scrive:

    P.S. Divertentissima l’immagine

  4. Nibbo scrive:

    L’uso che è stato fatto della parola violenza dalla maggior parte dei media e dei politici è un uso retorico, avente lo scopo di nascondere che gli eccessi compiuti dai manifestanti sono ben poca cosa rispetto agli eccessi di coloro i quali hanno interessi reali nella costruzione della Tav. Eccessi, come quello del capitale sull’uomo, del morto sul vivo, mantenuti da una coercizione calcolata, continua, paziente ed infinitamente più sottile ed efficace della forza bruta che comunque non viene disdegnata all’occorrenza.
    Capisco dunque il valore direi simbolico, e proprio in quanto simbolico liberatore, della forza distruttrice, ma solo come lavoro personale: vogliamo denunciare lo strapotere del denaro? Allora bruciamo i nostri soldi; vogliamo mostrare l’abuso della violenza? Allora diveniamo pazienti e disdegnamo di restituire il colpo.
    Questo lavoro personale non è rifiuto del mondo, fuga della persona nella sua individualità, ma creazione di uno spirito libero, indomito e indomabile capace di usare l’ostruzione, la non collaborazione, il boicottaggio in tutte le sue potenzialità.
    Il sapore di una vittoria riportata da simili armi avrebbe un sapore decisamente differente da quella riportata dalle pietre o dai fucili.

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